Pubblicato su www.ItaliaFutura.it il 18 ottobre 2013
“Benvenuti nel Circo della politica italiana, qui si possono ammirare acrobati, saltimbanchi e giocolieri” queste dovrebbero essere le avvertenze per tutti i cittadini che si avvicinano all’indecoroso spettacolo in cui i contribuenti, numericamente sempre meno numerosi, pagano il prezzo del biglietto.
È apparso ieri un articolo http://www.huffingtonpost.it/stefano-fassina/la-spesa-pubblica-non-va-tagliata_b_4108643.html a firma dell’on. Stefano Fassina (Viceministro dell’Economia), in cui – con dovizia di grafici – si mostra che “[…] la spesa pubblica corrente, primaria, pro-capite dell’Italia […] è tra le più basse dell’Unione europea (dati deflazionati al Pil, anno base 2005: 9.624 euro a residente vs 12.062 della Germania, 13.840 euro della Francia, 10.928 del Regno Unito)”. Prendendo spunto da questa lamentela secondo cui la spesa pubblica italiana è cresciuta meno degli altri Paesi, Stefano Fassina chiede che essa possa ricominciare a crescere. Verbo che noi traduciamo con “correre a briglie sciolte”.
I grafici sono una brutta bestia, specialmente quando sono usati a fini ideologici, attraverso la scelta “furbetta” di quali numeri riportare ed in che modo. Prescindiamo per un momento dal tema corposo della qualità dei servizi erogati dal settore pubblico, che andrebbe misurata al fine di effettuare confronti internazionali sensati (e che ha conseguenze economiche importanti: se la qualità dei servizi pubblici è bassa molti cittadini finiscono per rivolgersi al settore privato, ad esempio in campo sanitario e scolastico/accademico).
Prima questione: oltre che sulla spesa primaria, il pezzo di Fassina contiene due grafici sulla spesa pubblica per sanità ed istruzione, ma è eclatante l’assenza di un grafico sulla spesa pensionistica, che di fatto è la prima componente di spesa per lo stato italiano. Come mai?
Seconda questione: la spesa pubblica che i cittadini di un certo paese possono e vogliono permettersi è più alta quanto più alto il reddito procapite: si chiama “Legge di Wagner” ed è una delle prime cose che si studiano in un corso base di Scienza delle Finanze. Basterebbe dare un’occhiata veloce ai dati Eurostat per accorgerci che in Italia dal 2005 al 2012 il Pil pro capite reale è sceso da 24.500 Euro a 22.800 Euro, nell’Europa a 27 esso è cresciuto seppur di poco, mentre in Germania è salito da 27.000 a 32.000 euro. Quindi tutto andrebbe rapportato al PIL, per avere un’idea dell’evoluzione della spesa pubblica nel tempo e delle differenze tra paese e paese. E anche qui – per usare la peggiore espressione giornalistica di sempre – “il popolo di Twitter” non perdona: l’ottimo Thomas Manfredi (@thmanfredi) nel pomeriggio di ieri ha prodotto i grafici giusti, in cui l’Italia non sembra per niente l’ultimo della classe tra i paesi europei, in questa gara della spesa pubblica.
I fan della socialdemocrazia come Stefano Fassina attribuiscono un potere quasi taumaturgico alla spesa pubblica, dimenticandosi colpevolmente che “nessun pasto è gratis”, e che il reddito – in attesa di essere redistribuito – deve prima essere prodotto. Talvolta si dimenticano anche di usare le variabili giuste nei grafici.
Autori:
Gianmarco Gabrieli (Italia Futura Lombardia)
Riccardo Puglisi (Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali – Università di Pavia)